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In Italia la più grande università popolare è l' Università Popolare di Roma (Upter): nata nel 1987 ha raggiunto i 30.000 iscritti nel 2006. Oltre ai corsi, organizza viaggi, visite culturali, concerti e altre attività culturali e sportive che promuovono socialità e formazione.

L’Upter nasce dalla capacità visionaria di un gruppo di persone che alla fine degli anni”80 hanno saputo scommettere, in largo anticipo sui tempi, sulle potenzialità dell’educazione degli adulti come elemento di crescita individuale e collettiva. In poco tempo si è affermata come una delle eccellenze nel campo della formazione in Italia (Rapporto Eurispes 2007) e in Europa (Premio UE Grundtvig 2006), occupando lo spazio deputato alla promozione dell’apprendimento permanente (lifelong learning) e coinvolgendo in poco più di due decenni di attività centinaia di migliaia di persone di tutte le età e di tutte le culture.

Ripercorriamo in rapida successione i momenti più significativi di questa storia.

L’Upter è stata costituita il 30 marzo 1987 come Università Popolare della Terza Età di Roma, da allora il nucleo fondatore e i nuovi dirigenti si sono adoperati per sviluppare un nuovo modo di fare cultura e di apprendere.

Non solo anziani, ma ragazzi, giovani, donne, lavoratori si sono associati all’Upter, questa diffusa partecipazione ha permesso di cambiarne il nome: l’Upter diventava una Università popolare, anzi “l’Università Popolare di Roma”. L’aver superato la denominazione “Università della Terza Età” le ha aperto nuovi e innovativi campi della formazione permanente. Dal 1987 ad oggi si sono iscritte all’Upter oltre 300.000 persone. Il motivo di questo successo lo si può individuare nella capacità dell’Upter di moltiplicare l’offerta di cultura e di aver intuito che le persone vogliono apprendere e partecipare in un rapporto nuovo con la formazione e i formatori. Apprendere una materia significa anche socializzarla e socializzare, questo approccio all’apprendimento basato sulla condivisione ha contribuito a renderlo un modello di funzionalità e di utilità sociale che ha reso superata la concezione rigida della divisione per età. L’età dei partecipanti all’Upter è infatti profondamente cambiata nel corso degli anni, se inizialmente a prevalere è stata la popolazione anziana, in linea con le finalità di Università popolare della Terza Età, dopo oltre 20 anni il processo di partecipazione è cambiato. Esiste sempre una consistente partecipazione di ultrasessantacinquenni, ma è l’età cosiddetta adulta ad assumere il ruolo prevalente. Se nel passato le Università della Terza Età sono state un’invenzione del tempo libero e il risultato della scoperta della terza età attiva, per cui il loro scopo principale era la socializzazione, recentemente, a partire da una maggiore diffusione generale dei concetti del lifelong learning e di educazione permanente, si stanno progressivamente predisponendo a prendere parte come protagoniste all’educazione degli adulti. L’Upter ha contribuito in questi anni a definire e strutturare quella cultura del lifelong learning che presuppone il riconoscimento della formazione come insieme composito delle competenze acquisite, ed allo stesso tempo ha interpretato l’apprendimento durante tutto il corso della vita come miglioramento e adeguamento delle conoscenze finalizzate alla crescita della persona. È un fenomeno naturale e necessario: i partecipanti sono sempre più giovani e l’esigenza di ottenere attestati e certificazioni spendibili anche in ambito lavorativo è ormai una necessità. Questo nuovo concetto di apprendimento ha di fatto spostato l’attenzione verso i discenti facendone i protagonisti di una nuova concezione della formazione.

Il riconoscimento della cultura delle competenze acquisite e da acquisire tuttavia non è da intendere come semplice professionalità dell’apprendimento, in senso più ampio è il miglioramento e l’adeguamento delle conoscenze finalizzate alla crescita della persona sotto tutti gli aspetti: sociali, culturali, personali, dal momento che l’educazione degli adulti non può essere scissa dalla formazione di cittadini consapevoli, partecipi ed artefici delle trasformazioni che interessano la società.

La manutenzione del sapere e della cultura[]

Parafrasando il titolo del saggio di Martha C. Nussbaum La fragilità del bene (il Mulino, ed. 2011), vorrei far riflettere su uno sventurato campo della vita rappresentato dalla fragilità della cultura. Cosa si intende per fragilità della cultura? Facile a dirlo e a dimostrarlo: si tratta della sua mercificazione, del volerla considerare un bene (non comune) da usarsi per fare soldi. È facile dimostrare in questo tempo che la cultura non favorisce gli arricchimenti materiali, in quanto soggetta ormai più che alla tradizione, alle mode che dirottano le poche risorse disponibili verso oggetti e comportamenti aleatori, che dopo un primitivo flash, lasciano l’abbaglio negli occhi. Cultura vuol dire non solo saperi ma modi di essere, di rispettare, di amare, di fare del bene. La fragilità del bene è ormai appannaggio di una cultura che distrugge, che uccide le donne, che scatena le guerre e oscura tutto quello che non soddisfa e non fa quello che si desidera. A cosa serve parlare di etica, di rispetto, di amore a chi ormai non ha più orecchie per sentire? La fragilità del bene è della cultura: una fortuna che si può dissolvere da un momento all’altro. Ovviamente la ricostruzione della cultura è lenta, inversi sono i tempi necessari per la sua distruzione. È come un bombardamento aereo: poche bombe distruggono quello che è stato costruito e conservato per secoli. Il tutto in pochi minuti. Senza appello. Quando si perde un bene ci si accorge di quanto esso valeva troppo tardi, quando il danno è ormai fatto. Ma la banalità del bene (altro splendido titolo di Enrico Deaglio edito da Feltrinelli nel 1991) può a volte sorprendere e assumere quel coraggio necessario a ribellarsi alla barbarie e alla distruzione. Nel frattempo che noi riflettiamo abbiamo pubblicato la nostra Grande guida. La “banalità” della proposta è nota: corsi suddivisi per aree tematiche, per curiosità e per competenze. Questo catalogo contiene circa 2000 proposte, alcune “tradizionali” altre “innovative”. Tra queste ultime mi soffermo prima di tutto sui corsi della Scuola di italiano (per gli stranieri). Questa scuola funziona grazie al bene messo in campo da insegnanti volontari ma anche dalla grande apertura delle Comunità straniere che aderiscono alla diffusione delle conoscenze e delle culture. Altra novità è rappresentata dai corsi della sezione Upter English, svolti in lingua inglese e diretti a chi non parla l’italiano o conosce molto bene l’inglese. Infine, lo Sport e il movimento quali basi per una mente sana. La “banalità” della nostra proposta si oppone alla fragilità della cultura rafforzando l’idea che basta un pensiero lineare, un’etica e un amore verso gli altri per mettere in moto un cambiamento che possa renderci felici. In questo modo la fortuna della cultura (intesa come evento che accade in quanto pieno di cose buone) è che esistono donne e uomini che ci credono e che non hanno bisogno di ricchezze effimere per stare bene. Queste persone sono i nostri docenti, i nostri collaboratori, i nostri iscritti, i quali tutti insieme fanno qualcosa che non è riproducibile e sfruttabile da altri. Questo è un anno di verità per il progetto dell’Upter, il che significa che se le nostre radici sono solide e le nostre idee aperte, allora quella manutenzione del sapere che noi da anni facciamo ha senso e costruirà il nostro futuro comune.

Francesco Florenzano (presidente dell'Upter)

Collegamenti esterni[]

http://www.upter.it/

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