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L'Università degli Studi di Napoli "Parthenope" è una delle sei università di Napoli, storicamente specializzata nell'ambito economico e nelle scienze della navigazione, ma che negli ultimi anni ha investito prevalentemente nell'attivazione di corsi dell'area tecnologica. Ha anche ereditato la facoltà di scienze motorie derivante dalla trasformazione dell'ISEF di Napoli dopo la soppressione degli istituti superiori di educazione fisica.

Storia[]

La nascita dell'Università degli Studi di Napoli "Parthenope" risale al 1919, anno in cui il viceammiraglio Pasquale Leonardi Cattolica si fece promotore della richiesta, avanzata al governo da parte del Reale Istituto d'Incoraggiamento di Napoli, di istituire a Napoli un centro superiore di cultura per il mare destinato a studiarlo «in quanto è, in quanto produce ed in quanto mezzo di scambio», in grado di stimolare una «consapevole valorizzazione dei problemi economici relativi al mare».

Il R.D. n. 1157 del 30 maggio 1920 istituì il Regio Istituto Superiore Navale (allora distinto in due sezioni: Magistero e Armamento), che tra il 1930 (R.D. n. 1176) e il 1931 (R.D. n. 1227) venne trasformato in istituto universitario a ordinamento speciale, con le facoltà di Economia marittima e Scienze nautiche. Il primo statuto è del 1933 (R.D. n. 1570).

Tra il 1939 ed il 1940 l'istituto viene denominato Istituto Universitario Navale.

Nel 1987 la facoltà di Economia marittima diviene facoltà di Economia dei trasporti e del commercio internazionale. Nel 1990 ancora una volta cambia nome in facoltà di Economia, aprendo quattro corsi di laurea, tre scuole dirette a fini speciali e due scuole di specializzazione.

La crescita del numero degli studenti e l'espansione dell'organico richiedono nuovi spazi, per cui alla storica sede di via Acton vengono aggiunti un immobile in via Medina, la chiesa di San Giorgio dei Genovesi (concessa in comodato dalla curia di Napoli), Villa Doria d'Angri e un importante complesso al Centro direzionale di Napoli che ospita la nuova sede delle facoltà di Ingegneria e di Scienze e tecnologie. Esistono delle trattativeTemplate:Citazione necessaria con l'amministrazione finanziaria dello Stato per ottenere l'uso perpetuo dell'immobile monumentale già sede dell'istituto Filangieri.

Nel 1999-2000 l'espansione continua mediante l'istituzione di tre facoltà: Giurisprudenza, Ingegneria e Scienze motorie (trasformazione dell'I.S.E.F. di Napoli).

La crescita degli studenti in vent'anni è stata notevole: dai circa 1000 nel 1985, nel 2006 erano diventati oltre 16000.

L'ateneo era l'unico in Italia ad avere il corso di laurea in Scienze nautiche e dopo la riforma, proseguendo la tradizione, è stato l'unico ad avere attivato corsi di laurea nella classe 22 (scienze e tecnologie della navigazione marittima e aerea).

Con il cambio di nome da Istituto universitario navale in Università degli studi di Napoli "Parthenope" il Rettore decreta anche il nuovo logo-sigillo dell'ente, che viene scelto tramite un pubblico concorso nel maggio 2002, che ha visto vincitore il logo-sigillo ideato da Renato Delehaye[1].

Nell'ottobre del 2010 viene inaugurata la nuova sede dell'Ateneo presso il Palazzo Pacanowsky (ex Palazzo Telecom) a Napoli, in Via Generale Parisi nelle adiacenze della Scuola Militare Nunziatella. L'edificio è sede del polo giuridico-economico a partire dall'anno accademico 2011-2012.

Sede principale[]

La sede principale dell'Ateneo è nell'antico complesso del XVI secolo delle Officine della Real Fonderia a ridosso degli antemurali del Castel Nuovo.

L'approvazione, nel gennaio del 1885, della legge di risanamento della città di Napoli consentì di spostare gli stabilimenti militari in siti maggiormente idonei ai nuovi requisiti produttivi per cui la fonderia e l'Arsenale di Artiglieria vennero costruiti ex novo nell'area del Rione Arenaccia.

In tal modo l'edificio demaniale si rese disponibile. Nel 1949 venne concesso in uso all'Ateneo.

Note[]

  1. Dal Regio Istituto Superiore Navale a moderno Ateneo proiettato nel Futuro, Speciale Università, Corriere del Mezzogiorno, Napoli, 19 luglio 2010, pag. 9

Collegamenti esterni[]

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